giovedì 1 ottobre 2015

TELEVISIONE#4 - Show me a hero - Miniseries



Per me, umile parere, dopo un solo episodio era già serie dell'anno 2015. Show me a hero, l'ultima creatura di David Simon, inizia alla grandissima. New York, Yonkers, 1987-1994, Oscar Isaac (che ormai potrebbe fare tutto, benissimo, ed infatti, ora, Star Wars!) è Nick Wasicsko, novello Tommy Carcetti, antesignano di, che, grazie ad un errore politico del sindaco in carica, riesce a farsi eleggere. E ora?




La fiducia in quello che Simon fa è enorme: impossibile raggiungere la sua capacità di tessere un discorso corale, alto e basso insieme, due mondi differenti e inconciliabili, all'apparenza, nel profondo. I personaggi, due battute ed ecco una vita, Jim Belushi bellissimo, Alfred Molina e i suoi piedi sul tavolo pure, Carla Quevedo incredibile, e così via (Catherine Keener, benché fuori età, esce alla grandissima nelle ultime puntate). Il discorso politico e la sua attualità sono incredibilmente a fuoco: il pregiudizio razziale, il not in my backyard, l'arrivismo, il grande sogno della società capitalista. Bruce e i Dire Straits alla radio, ovviamente, e una serie di vecchie conoscenze, Michael Kostroff e Michael Potts, Clarke Peters in grande spolvero, il divano, è il passato eppure irrinunciabile. Visioni aeree, montaggio perfetto, solo sei ore, sei, a disposizione di David Simon per farci vedere un eroe, quell'eroe tanto invocato da Fitzgerald. Riuscire a rendere avvincente la questione Corte Suprema-città di Yonkers sull'assegnazione di 200 unità abitative è opera difficile, grande, ambiziosa; David Simon e William F. Zorzi scrivono alla perfezione quello che i personaggi hanno, provano, credono, incasellandoli alla perfezione nel contesto storico e allo stesso tempo modernissimo, attuale, come già detto.




La scrittura slega forse troppo, nelle prime puntate, lo sfondo corale dal protagonista assoluto, ma i fili si riannodano alla fine, come sempre; la storia sembra non esserci, fumosa, inconsistente, ferma, ma non è così: si comprano case, si fanno figli, si perdono lavori, è solamente la vita politica, la sua continua ricerca di tempo, la sua incapacità di muoversi in avanti, a rimanere paralizzata. It's been a lonely fight è una frase ricorrente e complessa, racchiude tutto e tutti e colpisce, forte; ricorrente è anche l'inizio, la metà, la fine, insomma la scena al cimitero e il cercapersone che dice 911, grande scelta, grandissima, che oscura in parte l'idea di far comparire papà Wasicsko, secondo me eccessivo e fuori luogo. Lo spostamento nelle case nuove e il successivo confronto Norma - Nick è straziante, eppure necessario per chiudere il cerchio, per dire forte che Nick è finito, come uomo, come politico. Se bisogna trovare un difetto, ecco, la regia di Haggis non è sempre all'altezza, forse banale, forse didascalica, e quel primo piano finale di Isaac, contro luce e flares dappertutto, totalmente diverso da tutto quello che si era visto fino a quel punto, è l'esempio migliore della debolezza delle intuizioni del buon Paul. Piccola chicca: cercate su google le immagini di Wasicsko, Spallone, Longo & co., per integrare il bellissimo finale: sono strabilianti e il confronto è spiazzante, per somiglianza e per ambizione.

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