sabato 19 dicembre 2015

TELEVISIONE#6 - Fargo - Season 02


Ok, la prima stagione di Fargo è una di quelle serie che, mentre la guardi, ti garba e piaciucchia e nulla più; ed invece, con sorpresa, a distanza di tempo, la si scopre impressa nella memoria e con piacere si ricordano inquadrature e personaggi e idee meravigliose. È con questo spirito che mi preparo ad affrontare la seconda stagione, sapendo che ci vorrà tempo ma attendendo grandi soddisfazioni.

1. Waiting for dutch
E, subito, eccolo, un inizio che fa storcere il naso, o almeno a me: fastidioso, al limite dell'insopportabile la prima sequenza con l'indiano e il cowboy (a meno che sia tutto da spiegare) e il mondo del cinema e l'ambientazione; tutto già visto, tutto già sentito. Per fortuna, è l'unico neo di una puntata in crescendo, che svela già molto e fa pregustare ciò che succederà: è un peccato, enorme, l'uscita di scena di Kieran Culkin, attore sottovalutatissimo, protagonista di una sequenza (quella della tavola calda) assolutamente sopra le righe (e ovviamente girata da dio). E poi Kirsten Dunst, Patrick Wilson, altri volti, Todd di Breaking Bad, insomma, un cast all'altezza della prima stagione; e, soprattutto, gli alieni, gli alieni, gli alieni?



2. Before the law
Ok then è la frase in assoluto più pronunciata in questa serie di Fargo, ed è divertente la sua ricorrenza, quasi casuale, che conferma uno stile Coeniano fino al midollo. Il comparto attoriale è a livelli esagerati, e tecnicamente non si è certo da meno, anzi, si lavora alla grande: le sequenze in split screen funzionano alla grande, così come il gioco sulle dissolvenze incrociate, studiate in maniera quasi maniacale, strabiliante e affascinantissimo. Ci sono cose che non tornano e cose che si confermano, ma c'è tempo, non siamo ancora partiti; si ha la sensazione che la strada si stia costruendo per qualcosa di grande, di veramente eccezionale. Forse, e dico forse, il voice over finale (quello che tira in ballo gli alieni) è leggermente stonato rispetto a ciò che si è visto, anche se nel decalogo coeniano è sicuramente un punto a favore.



3. The myth of Sisyphus
Siamo partiti, ed è tutto wow!, però non vorrei dire troppo, insomma; l'unica cosa che conta è questa.


4. Fear and trembling
L'uso dei flashback, anche in questo caso all'inizio della puntata, e wow che flashback!, è sempre efficace, insomma, centrato; spiega e diverte e risulta coeniano più degli stessi Coen, ed è un complimento, grosso. Così come pazzesca è la sensazione che si prova durante la visione: si ha la precisa consapevolezza di vedere, ascoltare, godere; quasi come fosse cinema puro, insomma, puro inteso come intrattenimento. Ovviamente, da un paio di puntate, Mike Mulligan è dio, anche se il concept dei personaggi è notevolissimo e ogni singola storia è curata nei minimi dettagli; importante, visto che ancora non l'ho segnalato, l'incastro storico, anch'esso eccezionale, e non solo nell'uso dei costumi e delle scenografie, ma anche nelle battute dei personaggi, nel modo di pensare, di agire, nei riferimenti. Ed infine, forse, una piccola chicca: la casa è la stessa della stagione 1, insomma, Lester's home?



5. The gift of the Magi
Proseguendo il discorso storico, wow!, c'è Reagan e fa una parte bellissima, divertente e surreale ed eccola lì, insomma, la Storia dentro la storia, finalmente. Più in generale: la scena iniziale è pazzesca, c'è una ripresa dall'alto che toglie il fiato, e poi, come non citare l'indiano vs i Kitchen Brothers (nooooo!), tutto eccellente. Insomma, andrebbe preso quasi ogni singolo frame, ma non si può fare, purtroppo; al di là della parte puramente visiva, è evidente la capacità in scrittura di creare situazioni impossibili e possibili allo stesso tempo, geniali e metafisiche, meta-tutto: l'incontro Charlie-Noreen è divertente e commovente e oltremodo riuscito, quasi un corto all'interno della puntata. Dodd altro personaggio clamoroso, e dietro c'è un grande attore, il semisconosciuto Jeffrey Donovan, ma, come già detto, il cast è veramente in stato di grazia (si dice?, ho sempre desiderato scriverlo).




6. Rhinoceros
Whoa che puntata eccezionale!, da dove partire? Dodd è sempre più pazzo, e la moglie del macellaio, la bellissima Kirsten Dunst, è altrettanto svalvolata e come andare avanti in altro modo? Importante, e non ancora citato, nemmeno accennato, è il lavoro sulle citazioni, escludendo quelle relative alla Storia (è possibile sottrarsi ad essa?, faremo finta di sì): Mike Mulligan, il divino, cita Alice di Carroll, e poi Camus e il mito di Sisifo, relativo anche alla puntata precedente, e certamente dimentico e perdo qualcosa (sicuro, e bellissimo, è l'accenno alla storia di Giobbe della prima puntata, forse la storia biblica che preferisco in assoluto); ovviamente, essendo in una serie "meta" (?) non può mancare la citazione coeniana, ed ecco la favolosa Man of Costant Sorrow sui titoli di coda. Karl, che si scopre essere avvocato, è oltre tutto, indescrivibile, insomma; e parecchie sono le situazioni in ballo, in attesa di quella che promette essere un'esplosivissima settima puntata.



7. Did you do this? No, you did it!
L'inizio è molto bello, visivamente: la guerra tra i clan è al suo culmine e rappresentarla meglio non si poteva fare; le transizioni tra una scena e l'altra sono veramente strepitose, i cerchi, il loop infinito, la morte. E poi, la scena in ascensore come l'hanno girata, pensata, post prodotta (due volte, una più perfetta dell'altra)? Insomma, wow! I personaggi sono sempre clamorosi, così come l'acting, e ritorna Karl, favoloso, nelle vesti di The King of Breakfast; clamorosi in quanto privi di senso, come la vita? (che banalità), clamorosi in quanto in balia del destino e di se stessi e degli altri e della grandezza di quello che l'umanità ha costruito. Cosa succede alla fine? Gli alieni, finalmente? E che cazzo sta facendo il Macellaio di Luverne? Ecco, tutto strepitoso, ma forse fin troppo ok per quello a cui siamo stati abituati; insomma, cosa ha in mente Noah Hawley per il prosieguo?



8. Loplop
Ecco, cosa avevano in mente, ecco! Perché fare una puntata confusa, piena di roba e affrettata e non due, che al sol pensiero dell'idea all'origine del dittico ti fanno esclamare wow, bravi, cazzo! Sono tutti pazzi, autori e attori e personaggi, e normali allo stesso tempo. Siamo tornati indietro, quindi, alla fine della sesta puntata; settima e ottava sono interscambiabili, praticamente, ma non teoricamente, perché dove finirebbe la sorpresa, dove la meraviglia? L'evoluzione di Kirsten Dunst è pazzesca, il suo personaggio incredibilmente funzionale alla credibilità della storia, nonostante la sua improbabilità; siamo tornati al capanno, l'eterno ritorno, come nel film, come nella prima stagione, e la televisone non funziona, ovviamente, e perché dovrebbe? E poi Freeze, Cochise!, ahahaha, e Hanzee si scopre un personaggio pieno di stupida profondità e assolutamente eccezionale (come se non fosse scontato); ciao Dodd!, è stato bello, molto. La bocca alla fine non può che essere spalancata; porca troia, che roba.




9. The Castle
L'inizio è, come sempre, sorprendente, bellissimo; l'uso del mezzo tecnico è superlativo e consapevole, che forse è anche più importante del risultato ottenuto. La consapevolezza di ciò che si sta facendo, della grandezza della storia e della visione, è fondamentale per mantenere alto il livello, e in una serie moderna ancora di più; proprio per la serialità, per la durata, per la coerenza, diventa incredibilmente necessario essere e creare con coscienza. Al di là dell'introduzione teorica (e pesantissima), la mia ovviamente, fa un po' paura sapere che manca solo una puntata e poi è tutto finito: forse, e dico forse, siamo superiori alla prima stagione. Kirsten Dunst è sempre più pazza e coeniana, Lou Solverson è il nostro serious man, Mike Milligan dice Ok then, come tutti, come tutto, e qualcuno dirà qualcosa di questi alieni, finalmente? Pare che la Storia confermi degli avvistamenti UFO in quegli anni, in quella zona, quindi la True Story iniziale, in fin dei conti, non è del tutto inventata.



10. Palindrome
Come sempre, credo di averlo detto spesso, l'inizio è grande, tecnicamente, teoricamente, visivamente. E poi, senza dubbio, geniale, non saprei come altro definirlo, l'espediente del film dentro al film di Peggy; credo sia clamorosa l'idea, ed ancor di più l'esecuzione, in quanto finisce male, giustamente, inflessibilmente. Il tema dell'illusione e tutto ciò che ruota intorno alla follia e alla normalità, in particolare nella rappresentazione del personaggio di Kirsten Dunst, credo siano l'elemento più riuscito dell'intera serie, emerso con prepotenza nella seconda parte. Grande, enorme, la parabola di Mike Milligan, personaggio pazzesco e coenianissimo, finito in un ufficio a fare il contabile e chissà con i capelli corti e cos'altro, la cravatta? Chi tornerà per la terza stagione, sarà lui? Sarà Hanzee? Finiti gli elogi, è da dire che sono rimasto un po'deluso dal lungo finale, da quella sensazione di non chiusura di tutti i discorsi aperti, dalla spiegazione debole della stanza dello sceriffo e del nuovo linguaggio universale, e dal necessario lieto fine per la famiglia Solverson. Insomma, episodio meh, ma stagione bella, funzionante, ricca di spunti e senza senso allo stesso tempo, come è giusto sia, rispecchiando la realtà.



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